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L’obiettivo di Imperial Brands: trasformare i fumatori in vaper

“Trasformare i fumatori in vaper può essere un fattore di crescita per Imperial Brands”. A dirlo ai microfoni della rete americana Bloomberg è Alison Cooper, amministratore delegato della multinazionale del tabacco, che sta investendo massicciamente nei cosiddetti “prodotti di nuova generazione”. E se la frase può sembrare un controsenso per chi fa soldi con le sigarette, basta guardare i numeri per comprendere la strategia di Imperial. “Noi abbiamo solo il 14 per cento del mercato del tabacco – spiega Cooper – Questo vuol dire che l’86 per cento dei fumatori non sono nostri clienti”. Dunque convertire al vaping questi fumatori, dirottandoli verso un mercato in cui l’azienda è attiva da diverso tempo, può voler dire strappare clienti alla concorrenza e, appunto, aumentare il fatturato in un settore in cui Imperial vuole essere protagonista. Il prodotto di punta per Cooper rimane Blu, la sigaretta elettronica già presente in Italia e appena lanciata in Germania e Russia. E, sebbene Imperial stia continuando a sperimentare anche un riscaldatore di tabacco, l’amministratore ribadisce più volte che l’obiettivo principale dell’azienda rimane il vaping. Questo rientra nella nuova strategia di Imperial che, dichiara Cooper, più che un’azienda del tabacco vuole diventare un’azienda di beni di consumo. “Ecco perché ci stiamo concentrando sui prodotti di nuova generazione, – spiega – sono loro che guideranno il futuro”.

Il Regno Unito si divide sulla sigaretta elettronica prescritta dal medico

Stimolanti spunti di riflessione sulla sigaretta elettronica e sul suo futuro continuano ad arrivare dalle audizioni della Commissione Scienza e Tecnologia della Camera dei comuni. Quest’organo di un ramo del Parlamento britannico, dove lo scorso gennaio l’italiano Riccardo Polosa illustrò la “teoria del toast” , sta facendo un importante lavoro di indagine sul vaping, i suoi benefici per la salute e le strategie migliori per utilizzarlo a vantaggio della salute pubblica. La commissione, come abbiamo visto nei mesi scorsi, sta coinvolgendo nel dibattito tutti i protagonisti del settore fornendo un modello di discussione e delle risposte che non si fermano ai confini del Regno Unito. Questa volta la discussione ha riguardato la possibilità che le sigarette elettroniche diventino prescrivibili, alla stregua dei farmaci, dal Servizio sanitario nazionale. Fino ad ora sono state prese misure simili, come la concessione di buoni per l’acquisto di ecig da parte dei centri antifumo, ma per prescrivere direttamente una sigaretta elettronica, bisognerebbe che un’azienda si accollasse la trafila per la registrazione di un farmaco presso la Mhra, l’agenzia regolatrice inglese dei farmaci. Ma, nonostante gli inviti, nessun produttore britannico ha finora ritenuto di farlo. Il motivo lo hanno forse spiegato proprio durante l’audizione in commissione a Westminster Fraser Cropper, presidente della Independent British Vape Trade Association e John Dunne, direttore della UK Vaping Industry Association. Entrambi non sono convinti che trattare la sigaretta elettronica come un farmaco sia la soluzione. Secondo Cropper, infatti, dare la responsabilità della prescrizione e della scelta al medico di base, snaturerebbe quella che è stata “un’innovazione guidata dal consumatore”, farebbe sentire il vaper deresponsabilizzato, meno coinvolto e meno artefice della sua scelta. Non solo, aggiunge Fraser, questo processo potrebbe limitare la varietà dei prodotti e quindi la scelta del consumatore. E, in definitiva, limitare la diffusione del vaping fra i fumatori, invece di incoraggiarla. Anche se poi ammette che la prescrizione potrebbe essere utile per garantire l’accesso ai prodotti ai fumatori economicamente più disagiati. Gli fa eco Dunne, evidenziando un concetto che spesso sfugge ai professionisti della salute. “La maggior parte dei fumatori – spiega – non si sentono malati. Non è una malattia, è una dipendenza da una sostanza”. Il successo dell’ecig, insiste Dunne, sta nel suo essere “un’innovazione guidata dal consumatore, che non è un farmaco”. Dunque, anche secondo il direttore della Ukvia, “spingere sulla strada della medicalizzazione avrebbe un effetto deleterio”. Quello che le associazioni dei produttori britannici chiedono al Servizio sanitario nazionale è un’agenda condivisa sulla salute pubblica, un messaggio netto ed inequivocabile da parte delle istituzioni a favore del vaping come strumento di riduzione del danno. “Se questo significa che, per comunicare con chiarezza quel messaggio, alcuni prodotti dovranno essere prescrivibili dal Servizio sanitario – concede Croper – noi ci saremo”. Insomma, il timore delle aziende – oltre a quello legittimo di vedere restringersi il proprio volume di affari – è quello che un’eccessiva medicalizzazione della sigaretta elettronica faccia perdere allo strumento quell’appeal che lo ha reso vincente per tanti fumatori, che non avrebbero mai messo piede in un centro antifumo. Un dibattito sicuramente molto interessante.

Politiche sulla sigaretta elettronica, Italia in coda alla classifica europea

Le politiche sul vaping stanno diventando sempre più il metro di misura per giudicare le politiche dei diversi governi. Tanto che il Think tank European Policy Information Center (Epicenter), che ogni anno stila il Nanny State Index (la classifica degli Stati-mamma), quest’anno ha voluto elaborare un supplemento che riguarda esclusivamente le politiche sulla sigaretta elettronica. Dunque al classico index che prende in esame le misure restrittive su alcool, cibo e soft drink, tabacco e vaping, nel 2018 si affianca quello “Nicotine supplement”, cioè la classifica degli Stati più restrittivi sui prodotti nicotinici a rischio ridotto, fra i quali Epicenter comprende, oltre alle ecig, anche lo snus e i riscaldatori di tabacco. E diciamo subito che per l’Italia sono dolori. Perché se nella classifica generale il nostro Paese si salva, grazie alle politiche piuttosto liberali su alcool, cibo-spazzatura e tabacchi, sono proprio le politiche sul vaping a far precipitare il Belpaese nella classifica, come già rilevavamo l’anno scorso. I criteri utilizzati per la valutazione sono sei: l’aumento dei prezzi (in seguito a tassazione o monopolio sulle vendite); la stigmatizzazione dei consumatori; la limitazione della scelta dei prodotti; il disturbo creato ai consumatori; i limiti posti all’informazione (per esempio con il divieto di pubblicità); la limitazione della qualità dei prodotti (per esempio con il divieto per gli aromi). Non sorprende quindi che l’Italia si collochi ad un non lusinghiero 21esimo posto su 30 (oltre ai 28 Paesi dell’Ue sono sati inseriti in classifica anche la Norvegia e la Svizzera), vicinissima alla coda della classifica. La cosa più triste è che il nostro Paese riceve il punteggio massimo, cioè il peggiore, per quanto riguarda la tassazione e le vendite transfrontaliere, mentre non se la cava poi male per quanto riguarda l’uso nei luoghi pubblici, i divieti sul prodotto, la pubblicità e le politiche sui riscaldatori. “Il vaping in Italia è sotto attacco da anni”, si legge nel documento che accompagna l’index. E dopo aver ricordato che il nostro è stato il primo Pese a tassare i liquidi e aver giudicato “punitiva” la tassa che “ha limitato la diffusione della sigaretta elettronica in Italia”, gli autori danno gli ultimi aggiornamenti. “Nel gennaio 2018 – si legge – una legge ha creato di fatto un monopolio di Stato per la vendita delle sigarette elettroniche. Non solo sono state vietate le vendite transfrontaliere, ma dall’inizio dell’anno sono proibite tutte le vendite online”. La conclusione a cui giungono anche gli autori della classifica è particolarmente avvilente: “L’unico interesse del governo per i prodotti nicotinici più sicuri è di natura finanziaria. Le sigarette elettroniche possono essere utilizzate nei luoghi pubblici con poche limitazioni e il governo non ha applicato rigorosamente la Direttiva europea sui prodotti del tabacco per quanto riguarda la pubblicità”. Dunque poco interesse per la salute, tanto per le casse erariali. In cima alla classifica, fra i Paesi più liberali e molto lontani da noi, c’è la Svezia, grazie anche alla circolazione dello Snus. Al secondo posto ci sono quattro Paesi con lo stesso punteggio: Germania, Repubblica Ceca, Regno Unito e Paesi Bassi. In fondo e pericolosamente vicini all’Italia troviamo la Finlandia, l’Ungheria e la Norvegia.

Sigarette elettroniche, italiani protagonisti anche alla fiera di Birmingham

È stato un weekend molto caldo nel nord Europa e non solo grazie al meteo, che ha regalato giornate di sole e temperature miti insolite per questo periodo dell’anno. Ma il fine settimana appena trascorso è stato movimentato anche dal punto di vista fieristico, che ha visto svolgersi contemporaneamente – il 5 e il 6 maggio – due importanti appuntamenti per il vaping europeo: la Hall of Vape di Stoccarda, in Germania, e the Vaper Expo di Birmingham nel Regno Unito (iniziata in verità già venerdì 4 maggio). E anche le aziende italiane, per questo primo fine settimana di maggio, si sono divise fra chi ha scelto di andare Oltralpe e chi Oltremanica. E se la due giorni di Stoccarda si è distinta per la sobrietà, nonostante la grande partecipazione di pubblico, l’appuntamento di Birmingham ha regalato invece grande spettacolo, oltre ad una lunghissima lista di espositori. Il settore del vaping italiano è stata presente in entrambi gli eventi, portando l’eleganza e l’attenzione per la qualità del Made in Italy in giro per l’Europa. Ora l’appuntamento per tutti si sposta a Verona, dove sabato 19 maggio VeronaFiere aprirà i cancelli per la quarta edizione di Vapitaly. Lì le aziende italiane, dopo le trasferte di questi ultimi giorni, giocheranno finalmente in casa.

Regno Unito, presto l’ecig pubblicizzata sui pacchetti di sigarette?

La proposta è stata avanzata dal parlamentare Stephen Metcalfe durante una delle audizioni sulla sigaretta elettronica organizzate dal Commissione Scienze e Tecnologia della House of Commons, uno dei due rami del Parlamento britannico. L’idea di Metcalfe è quella di promuovere l’uso dell’ecigarette sui pacchetti di sigarette, in modo da essere certi di raggiungere il target desiderato: i fumatori. E sebbene al momento non sia legalmente possibile inserire alcun tipo di pubblicità sulle confezioni di sigarette, usarle per diffondere un mezzo di riduzione del danno è una possibilità che è piaciuta al sottosegretario alla salute Steve Brine, che ha dichiarato che prenderà seriamente in considerazione la questione. “È un’idea interessante, fammici pensare, – ha infatti risposto Brine a Metcalfe durante l’audizione – In un periodo di scarse risorse, sarebbe un messaggio molto diretto”. Brine d’altronde non ha fatto mistero di sostenere le sigarette elettroniche e ha insistito sulla necessità di continuare a costruire una solida base scientifica in favore del loro uso. In questo modo, ha spiegato, le autorità locali saranno spinte automaticamente a promuovere il vaping come mezzo di dissuasione al fumo, senza porre distinguo. E presto dunque potremmo assistere ad un nuovo passo avanti nella politica di promozione della sigaretta elettronica nel Regno Unito. Si può immaginare, d’altronde, un metodo più efficace per raggiungere i fumatori di pubblicizzare l’ecig sui pacchetti di sigarette? Ancora una volta la politica britannica si dimostra estremamente concreta.