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Sigarette elettroniche, Ansalone (Bat): “No monopolio, sì regole condivise”

“Monopolizzare e statalizzare interamente il settore per noi significa riportare indietro le lancette dell’orologio”. Gianluca Ansalone, responsabile delle Relazioni istituzionali di Bristish American Tobacco Italia, ha un giudizio nettamente negativo su quanto introdotto dall’emendamento Vicari. La multinazionale del tabacco, da tempo presente massicciamente anche nel settore del vaping, si dichiara favorevole ad eventuali correzioni dell’articolo 19 quinquies in sede di legge di stabilità, ma crede che sia necessario andare oltre gli interventi spot. Ansalone auspica la creazione di un tavolo dove tutte le parti in causa, dalle istituzioni agli operatori, si riuniscano per una riflessione seria e approfondita che decida le linee guida di questo settore. Si dichiara apertissimo anche a discutere di tassazione. Ma solo per il futuro. Qual è la sua valutazione dell’articolo 19 quinquies del decreto fiscale, cioè l’ex emendamento Vicari? Abbiamo un giudizio negativo su quell’emendamento per due ordini di ragioni. Il primo molto banale e semplice è che vietare la vendita online nel 2017, cioè nell’era della digitalizzazione imperante, è quanto meno un controsenso storico. C’è poi il secondo aspetto più di merito e un po’ più articolato. Noi come azienda abbiamo sempre espresso la posizione che, dal nostro punto di vista, questo settore negli ultimi anni è cresciuto – e questo è un dato positivo – ma in una maniera un po’ caotica e ipertrofica. La nostra è un’analisi critica ma costruttiva. Però monopolizzare e statalizzare interamente il settore per noi significa riportare indietro le lancette dell’orologio. Non la consideriamo la risposta giusta, non siamo assolutamente d’accordo da questo punto di vista. Quindi il giudizio complessivo su questo emendamento è assolutamente negativo. Cosa intende quando parla di crescita ipertrofica e caotica? Ci sono due aspetti su cui noi abbiamo sempre insistito. Il primo riguarda il tema che poi è stato sciolto con la sentenza della Corte costituzionale. Noi come Bat siamo sempre stati convinti che, anche in attesa del giudizio della Corte, bisognasse pagare tutto, che bisognasse pagare sulla base della quantità. Abbiamo sempre continuato a fare la nostra parte fiscalmente, cosa che invece non è stata comune al settore. È vero che c’era un giudizio pendente, ma non mi metto tanto nei panni dell’operatore, quanto in quelle delle istituzioni. Noi abbiamo sollecitato anche con delle lettere scritte il regolatore di questo settore a promuovere il maggior numero di controlli possibile, perché per noi l’interpretazione della legge, anche in presenza di un’attesa di giudizio da parte della Corte Costituzionale, era inequivocabile. E che risposta avete avuto dal regolatore? Di attesa: c’è un giudizio pendente, aspettiamo il giudizio e poi si vedrà il da farsi. Ne abbiamo preso serenamente atto, però la nostra interpretazione è sempre stata molto diversa. Oltre alla tassa, cosa ha causato la crescita che definisce caotica? L’altro aspetto per cui noi diciamo che il settore è cresciuto in maniera caotica e che abbiamo posto, riguarda gli adeguati standard di sicurezza e di qualità dei prodotti che sono sul mercato. Anche questa è una tematica che avrebbe meritato un approfondimento ampio e il coinvolgimento di tanti operatori e di istituzioni molto diverse tra loro, come per esempio l’Istituto superiore di sanità. Qualche passo in avanti si è fatto anche da parte per esempio dell’Iss, ma manca ancora a nostro avviso una codifica. Per noi il punto di riferimento è il lavoro fatto nel Regno Unito con un decalogo molto puntuale e preciso, stilato dal British Standard Institute sugli standard di qualità e sicurezza dei prodotti del vaping. Quindi la notifica prevista dalla Tpd non basta per garantire standard qualitativi adeguati? È la base, ma non basta. Si può fare di più e meglio. In Inghilterra, realtà che conosciamo per ovvi motivi, secondo noi si è fatto. Noi ci crediamo molto e la risposta non può essere quell’emendamento così formulato e con quello che prevede. Non si chiude la partita facendo girare all’indietro le lancette dell’orologio, monopolizzando tutto e statalizzando tutto. Vi state muovendo in qualche modo per modificare l’emendamento Vicari in sede di legge di stabilità? No, non direttamente perché non compete a noi, è nell’autonomia del Parlamento. Se poi qualche iniziativa parlamentare nasce, noi la guardiamo con favore. Noi però non ne promuoviamo nessuna. Leggo dalla vostra testata che sono in preparazione possibili iniziative parlamentari e noi saremmo disponibili a correggere se possibile e ove possibile, quanto è stato stabilito nel Vicari, che ci vede contrari. Questo nell’urgenza, ma secondo noi è necessaria e urgente una riflessione ampia e un approfondimento condiviso. Qual è la vostra proposta? Da tempo abbiamo posto all’attenzione anche del decisore politico la necessità di aprire una riflessione sulle linee guida di questo settore, sulle prospettive di sviluppo, sulle direzioni e così via. Noi siamo favorevoli a riaprire una discussione, un tavolo, un confronto tra gli operatori e le istituzioni, ma non certo attraverso gli emendamenti. Si cerca sempre di arrivare ad un risultato attraverso uno strumento che secondo noi non è appropriato. Se una riflessione deve essere, deve essere una vera riflessione. Intende una sorta di legge quadro per il settore? Ci vuole una nuova regolamentazione. Alla luce di tutte queste novità complessivamente prese, è arrivato il tempo di aprire una riflessione ampia. E una riflessione si fa con i crismi dovuti, con un dibattito approfondito, si coinvolgono le istituzioni, tutti gli operatori ai vari livelli. Ci vuole del tempo e ci vuole della profondità. Non si può pensare con tre righe di emendamento in questa sede o in altre sedi di cambiare completamente l’impianto. Tornado alla tassa, che idea avete su quanto deciso dalla suprema Corte? Quello che ha deciso la Corte noi lo abbiamo sempre applicato. Questo ci fa dire che forse il tema in difformità che avevamo posto, tutto sommato aveva un fondamento. Per noi l’interpretazione della legge era chiara, quantomeno sulla componente nicotina. Noi dicevamo alle istituzioni, nella fattispecie anche al nostro regolatore che sono i Monopoli di Stato: guardate che nella nostra interpretazione il fatto che si debba pagare sui liquidi con nicotina è fuori di discussione; quello su cui ci aspettiamo la Corte si pronuncerà è l’eventuale equiparazione fra liquidi con e senza nicotina. Tutto qua. Ma sul fatto che le tasse andassero pagate, quantomeno sulla componente dei liquidi contenenti nicotina, per noi è stato sempre fuori di discussione. La sentenza adesso va in questa direzione. Lei si rende conto che la tassazione prevista era sostenibile per voi multinazionali ma non per le medie e piccole imprese del settore? Siamo disponibili anche ad affrontare il tema generale della tassazione che alcuni ritengono troppo onerosa. Siamo apertissimi ad aprire un tavolo per parlarne in maniera approfondita, ma non attraverso il tentativo, che vedo nel Dl fiscale e mi aspetto che riesca fuori in sede di stabilità, di un emendamento che cristallizzi una cosa su cui non c’è stato dibattito, non c’è stato approfondimento, non tiene doverosamente conto della sentenza nè del pregresso. Da chi dovrebbe essere gestito il tavolo? Dalle istituzioni. Siano i Monopoli di Stato o il Ministero dell’economia e delle finanze. L’iniziativa deve partire dalle istituzioni e deve vedere coinvolti tutti i livelli, cioè gli altri ministeri coinvolti - che sono sviluppo economico e salute - e gli operatori tutti. Da noi, più grandi, che siamo nel settore, agli operatori più piccoli, le rappresentanze, i corpi intermedi. Tutti coloro che hanno qualcosa da dire. Qual è la vostra posizione sulla tassa sui liquidi senza nicotina? Bisogna porre questa domanda in maniera ampia e problematica per il futuro. C’è un pregiudizio e mi riferisco al pregresso. Per noi è stato inequivocabile che la strada fosse questa. Adesso, congelato lo stato dell’arte da parte della Corte Costituzionale, si riapre il dibattito. Siamo disponibili anche a parlare di possibili differenziazioni tra con e senza nicotina in termini di gradiente. Quindi una cosa è il pregresso, su cui ci siamo comportati in un certo modo, una cosa è il futuro. Non abbiamo una posizione pregiudiziale. Come si fa a sostenere che un liquido alla fragola senza nicotina equivalga a 5,5 sigarette? Posso condividere in linea di principio quello che dice. Ripeto, siamo disponibili a parlarne, anche alla luce della sentenza della Corte, perché al suo interno vi sono degli angoli che possono essere presi in considerazione in un dibattito e in un ragionamento complesso e articolato. Ma uno strumento di riduzione del danno da fumo non dovrebbe invece essere incentivato anche dal punto di vista fiscale? Assolutamente sì. Noi come azienda abbiamo una visione molto chiara e cioè che la tassazione, comunque la si intenda, deve essere strettamente collegata a quello che noi chiamiamo lo spettro del rischio. E quindi uno strumento che può essere un modo per ridurre l’impatto sulla salute, deve essere inquadrato all’interno del sistema fiscale tenendo conto di questo. Con la tassa piena al consumatore svapare costa più che fumare, nessuno è più incentivato a passare all’elettronica. Questo tipo di sillogismo così diretto è un po’ una forzatura, ci sono tante altre implicazioni che rimandano a considerazioni non prettamente fiscali. Però seguo il principio e siamo rigorosi nel dire che lo schema fiscale deve accompagnare lo spettro del rischio. Ha avuto modo di leggere l’editoriale del presidente della Fit che descrive tabaccai come presidio della salute e sostiene che la sigaretta elettronica è stata sostanzialmente data in esclusiva alle tabaccherie? Il mio commento non è molto diverso da quello all’emendamento tout-court, che è all’origine di queste osservazioni. La nostra contrarietà è chiara. Pur nelle legittime posizioni di ciascuno, nel riconoscere alcuni limiti su come questo mercato si è sviluppato, la soluzione non può essere quella di statalizzare e portare tutto in tabaccheria. Non siamo d’accordo anche molto banalmente per impostazione generale, per il principio della libertà di mercato e tanti elementi. Ma anche per una considerazione molto banale: su questo segmento ci siamo da anni, stiamo facendo investimenti importanti, siamo pienamente immersi nella realtà di un settore che ha delle sue dinamiche e una sua vitalità. Mortificarla portando tutto quanto indietro non è condivisibile. Quindi il futuro è del vapore? Noi ci crediamo tantissimo. Pensiamo che il futuro sia quello di un allargamento ampio dell’offerta e della scelta per il consumatore e il vapore avrà sicuramente un ruolo importantissimo.

Sigarette elettroniche, pronto emendamento Pd per annullare Vicari

A fronte della comprensibile preoccupazione destata dagli eventi ultimi, utenti ed addetti ai lavori si chiedono se vi sia speranza di (perlomeno) mitigare l'impatto della nota sentenza ultima della Consulta e dell'emendamento "Vicari" (nella sua attuale estensione), magari attraverso una riforma organica munita di un approccio doverosamente scientifico, vista la delicatezza della materia. In realtà, da circa un anno e mezzo esiste un intergruppo parlamentare "dedicato" alla sigaretta elettronica, deputato proprio ad analizzare con le dovute conoscenze e cautele la materia. L'onorevole Sebastiano Barbanti (Pd), membro istitutivo dell'intergruppo, ne precisa l'origine: "Con alcuni colleghi, un paio di anni fa, abbiamo notato alcuni aspetti normativi in materia che ci sembravano meritevoli di essere approfonditi. Per fare ciò con dovizia di particolari e competenza abbiamo ritenuto necessario creare un luogo in cui poter approfondire la conoscenza tecnica, economica e inerente alla salute delle persone del mondo delle ecig (o direi meglio, del mondo alternativo alle sigarette tradizionali). Questo luogo è stato appunto l’intergruppo parlamentare. Ritengo che attualmente ci siano degli spazi normativi e fiscali ancora da sistemare adeguatamente contemperando le esigenze economiche degli operatori ed il diritto alla salute degli utilizzatori e delle persone più in generale". Dalle parole di Sebastiano Barbanti emerge la consapevolezza circa l'idoneità delle ecig a limitare grandemente i danni causati dal fumo analogico: "Per anni abbiamo assistito al fallimento dei metodi “fai da te” per smettere di fumare. Purtroppo gomme, cerotti ed aumenti del prezzo delle sigarette non hanno funzionato. Ed oggi ci ritroviamo con quasi un quarto della popolazione italiana che fuma sigarette tradizionali e contiamo dai 70 agli 83 mila morti all’anno a causa del fumo. Anche i centri antifumo in Italia purtroppo riescono a mitigare poco il fenomeno. Gli oltre 300 centri antifumo del nostro Paese trattano annualmente 16.000 degli 11,5 milioni di fumatori italiani (lo 0,14%). Se anche tutti lavorassero a pieno regime si stima che circa 7/8 mila persone all’anno riuscirebbero a smettere di fumare entro tre anni. È un bel risultato, ma resta inferiore al numero dei decessi. La domanda di “alternative alla sigaretta” è elevata: lo testimoniano anche i numeri del boom del settore negli ultimi anni. La chiave di volta ritengo sia stata quella di intuire che una possibile parziale soluzione al problema fumo non sia quella di privarsi della nicotina, ma di creare prodotti meno rischiosi per la salute in quanto senza combustione. Sia chiaro, non stiamo parlando di danno zero, ma solo di minor danno. Per cui, fermo restando che il punto di arrivo per lo Stato debba essere quello di tutelare la salute dei cittadini eliminando ogni forma di assuefazione ritenuta dannosa, bisogna consentire, nei limiti del legale, l’esercizio del libero arbitrio. Penso che il fattore del “minor danno” debba comunque essere tenuto in considerazione nella formulazione di normative sul settore". Ciò che desta maggiore preoccupazione è, naturalmente, l'attuale equiparazione dei liquidi con e senza nicotina - entrambi soggetti ad imposta di consumo in virtù del diktat ultimo della Consulta - e la potenziale inclusione di tutti i prodotti della filiera nell'esclusiva di Stato, ivi compresi dispositivi e parti ricambio a cui l'emendamento "Vicari" (secondo una certa interpretazione) estenderebbe di fatto il divieto di vendita online extra ed intra-frontaliera. Sempre dalle parole di Barbanti, emerge consapevolezza delle problematiche e delle conseguenti ricadute: "L’emendamento Vicari, pur mirando ad ottenere nobili intenti di sicurezza, controllo e quindi tutela della salute, purtroppo così come formulato, e per giunta in unione con la sentenza della Corte Costituzionale, rischia di avere impatti devastanti su un mondo composto da circa 2500 negozi, da tanti ricercatori, da tanti ingegneri, da tante aziende che producono materie prime e accessori e da tanti utenti che ormai hanno sostituito la normale sigaretta con il prodotto alternativo anche senza nicotina. Di questi non possiamo non tenere conto, anzi, devono essere i soggetti da tenere sempre a mente quando si elabora una normativa che deve disciplinare aspetti economici, fiscali e salutistici. Con i colleghi Sergio Boccadutri ed Alessia Rotta abbiamo previsto un emendamento in legge di Stabilità che sterilizzi gli effetti della normativa Vicari, in attesa di completare gli studi e ascoltare tutte le controparti per la costruzione di una disciplina del settore efficace ed efficiente". In attesa dell'entrata in vigore, si apre, dunque, uno spiraglio ad una riforma che tenga maggiormente in considerazione le esigenze degli operatori e la salute dei cittadini.

Giacomello (Vapitaly): “Da Rotta e Boccadutri segnale di speranza”

"Sono grato agli onorevoli Alessia Rotta e Sergio Boccadutri per la forte presa di posizione e l’impegno a favore dell’intero comparto del vaping”. Parole di Mosè Giacomello, presidente di Vapitaly, la più importante fiera europea dedicata alla sigaretta elettronica per numero di visitatori. “Il loro impegno a presentare a breve un ordine del giorno, avrà l’obiettivo di salvaguardare il mercato in attesa degli emendamenti soppressivi e potrebbe rappresentare un punto di svolta nella lunga battaglia per il riconoscimento del settore e della professionalità degli operatori del mondo del vaping”. Vapitaly è una realtà ormai consolidata nel panorama europeo, punto di incontro di tutti i rappresentanti della filiera e degli stakeholders di settore. Nell’ultima edizione, Vapitaly ha ospitato il sottosegretario Benedetto Della Vedova e il senatore Giampiero Dalla Zuanna per un confronto tra il comparto del vaping e il mondo istituzionale. "Il settore - continua Giacomello - è in forte crescita e attualmente dà lavoro ad oltre 10mila persone - 30mila persone indirettamente - per un volume d’affari di oltre 600milioni di euro e un panorama di consumatori nazionali di circa 1,3 milioni, compresi gli svapatori occasionali. L’emendamento Vicari inserito nella legge di stabilità e l’assurda tassazione, purtroppo confermata dalla Consulta anche sui liquidi senza nicotina, rischiano di mettere in ginocchio questo comparto e di farlo sparire. Per questo è importante essere presenti - conclude Mosè Giacomello - la mattina di mercoledì 29 novembre, alla manifestazione che l’intero mondo del vaping ha organizzato a Roma, davanti a Montecitorio. Far sentire la nostra voce è fondamentale".

E-cig, Rotta (Pd): “Da salvaguardare soprattutto negozianti e consumatori”

Già ritirato l’emendamento alla Legge di stabilità presentato nei giorni scorsi. Poi, subito un Ordine del Giorno, che questa settimana arriva alla Camera, e successivamente un nuovo emendamento soppressivo dell’emendamento Vicari alla Legge di Bilancio; sono gli strumenti già pronti e predisposti da parte del Gruppo Pd nelle persone degli onorevoli Alessia Rotta e Sergio Boccadutri per apportare le prima correzioni necessarie sulla vicenda che agita il settore del vaping. Contattata da Sigmagazine, l'onorevole Rotta spiega che "saranno messi in campo tutti gli strumenti idonei a salvaguardare non soltanto i produttori ma anche i rivenditori. L'emendamento Vicari colpisce infatti soprattutto la libera vendita e la assoggetta al Monopolio". “Sono legittime le preoccupazioni da parte degli operatori del settore e dei consumatori – spiegano Rotta e Boccadutri – visto che il mondo vaping, a causa di una legislazione carente e di un emendamento (il Vicari) cui ci opponiamo, rischia il collasso. Noi siamo già al lavoro da settimane per evitare che vengano cancellati migliaia di posti di lavoro e che il prospettato esorbitante aumento del costo dei liquidi da inalazione, per effetto della prevista tassazione spinga a non scegliere questa alternativa più salutare rispetto al fumo di sigaretta”. L’onorevole Rotta ha ben presente l’entità economica del settore visto che Verona rappresenta la più importante fiera internazionale d’Europa del comparto per numero di visitatori: a maggio sono state oltre 24mila le presenze registrate a Vapitaly. “Sto lavorando da mesi – ha chiarito Rotta – per una normativa quadro, in accordo con il presidente di Vapitaly Mosè Giacomello, per il riconoscimento normativo del settore. Proprio per questo siamo pronti con un Odg e una proposta di legge. Servono i fatti e non le chiacchiere”. © Copyright – Best edizioni – Tutti i diritti riservati

Sigarette elettroniche, Salvini: “O governo fa dietrofront o sarà disastro”

"Se ho un problema di salute vado dal medico, non dal macellaio. E quando entro in tabaccheria so che lo sto facendo per farmi del male". Non usa mezzi termini Matteo Salvini, leader della Lega, a commento delle dichiarazioni del presidente della Fit pubblicate su La Voce del Tabaccaio. Contattato telefonicamente da Sigmagazine, Salvini ha espresso incredulità per quanto sta accadento a livello parlamentare. "La scelta politica del governo rischia di fare disastri su tre fronti. Il primo è sul lavoro, mettendo a repentaglio il futuro di migliaia e migliaia di persone. E molti di questi sono giovani che si sono inventati un futuro avendo la lungimiranza di puntare su un settore nuovo ed in piena espansione. Il secondo fronte è quello della salute perché la sigaretta elettronica disincentiva un'abitudine altamente nociva. Il terzo fronte è quello dello Stato perché se oggi incassa qualche briciola, domani su larga scala ci rimetterà e non poco. Diminuirà, e in alcuni casi si azzererà, il consumo, il numero delle aziende, il fatturato, il lavoro e, di conseguenza, gli introiti erariali". Secondo lei cosa o chi c'è dietro questa scelta politica? "Bella domanda. Non ho una risposta certa ma solo un dubbio: chi ha paura della crescita di questo settore? E sono spinto a pensare che siano le multinazionali del tabacco che non ammettono concorrenza, merito e competizione". Come prevede di muoversi? "Sin da subito voglio sentire una presa di posizione chiara da parte del Ministero della Salute. Vorrei capire come è possibile che uno strumento, che è scientificamente provato che fa meno male, abbia una tassazione se non superiore almeno pari a quella del tabacco. Un ragazzo che si trova a dover spendere 10 euro al giorno per un liquido tornerà immancabilmente alle sigarette. L'aspetto buffo è che le aziende non stanno dicendo che non vogliono pagare le tasse. Stanno solo dicendo che lo Stato esagera chiedendo 4,5 euro ogni flacone. E non posso che dar loro ragione". Se il fisco porterà avanti la rischiesta di incassare la tassa pregressa, anche quella sospesa dal Tar, si prevede la chiusura di gran parte delle aziende. "E il risultato sarà che l'Italia diventerà terra di conquista da parte delle aziende straniere. Anche in questo settore il Governo si dimostrerà così bravo da agevolare gli stranieri che potranno cominciare a lavorare partendo da zero, al contrario delle nostre aziende che invece saranno chiamate a pagare scelte non loro".

Fabio Beatrice: “Il successo è passare alla sigaretta elettronica”

(tratto da Sigmagazine bimestrale #5 - novembre-dicembre 2017) “Il vero interesse della sigaretta elettronica non è la sua potenzialità nella cessazione, quanto la sua potenzialità nella sostituzione”. Il professore Fabio Beatrice non ha dubbi, la vera forza dell’ecigarette sta nella sua capacità di continuare a soddisfare il fumatore, separando l’assunzione della nicotina dai prodotti della combustione del tabacco. In breve, nel suo essere uno strumento di riduzione del rischio. Una strategia per ora non contemplata dalle nostre istituzioni sanitarie nella lotta al tabagismo. Eppure Beatrice non è un outsider nella società scientifica. Otorinolaringoiatra, “non medico a tavolino, ma medico che visita, opera e cura” come ama definirsi, è stato presidente della Società italiana di tabaccologia ed è responsabile del Centro antifumo dell’ospedale San Giovanni Bosco di Torino. E all’ecig ha dedicato studi e persino un libro, La verità sulla sigaretta elettronica. Nel panorama medico-scientifico lei è stato fra i primi a riconoscere le potenzialità della sigaretta elettronica per la salute dei fumatori. Cosa l’ha convinta? Sono partito da un interesse per la sigaretta elettronica quale strumento di aiuto alla cessazione. In quest’ottica il Centro antifumo di Torino che dirigo e l’Istituto superiore di sanità organizzarono una sperimentazione, poi pubblicata nel 2015, per verificare se questo strumento poteva essere inserito in un percorso medicale di supporto al fumatore. L’approccio commerciale puro non serviva ad aiutare i fumatori nel passaggio. La nostra sperimentazione ha dimostrato che invece un approccio medicale a otto mesi produceva uno switch stabile a elettronica del 53% dei fumatori, un comportamento duale con forte diminuzione del fumato reale nel 37%, mentre un 10% falliva completamente. Abbiamo misurato la tossicità e abbiamo visto il monossido di carbonio si azzerava che nei fumatori che facevano switch completo, si riduceva in maniera statisticamente significativa nei fumatori duali, mentre il consumo di nicotina rimaneva più o meno lo stesso. Poi non abbiamo avuto risorse per proseguire lo studio osservazionale a più di otto mesi. All’epoca però ci ponevamo il problema dell’utilizzo della ecig solo come strumento di aiuto alla cessazione. E oggi? L’approccio di puntare esclusivamente alla cessazione è culturalmente sbagliato. Il vero interesse della sigaretta elettronica è semplicemente nello switch, nel passaggio dalla sigaretta tradizionale all’elettronica. Lo switch azzera il monossido di carbonio, lascia la nicotina, riduce in maniera molto significativa i prodotti irritativi e abbatte drammaticamente i cancerogeni di classe A che da ottantatré diventano due o tre. In cosa le sigarette elettroniche sono meno dannose? La sigaretta elettronica azzera in maniera quasi completa i prodotti della combustione. Poi ci sono delle differenze a seconda della potenza utilizzata per svapare, ma di fatto vale la posizione del ministero della Gran Bretagna che fa di tutta l’erba un fascio e sostiene che l’ecig detossica del 95% rispetto al fumo. Uno strumento così per me è un successo. Il problema è che permane una forma di bigottismo nell’accettare che gli utilizzatori continuino in un certo senso a fumare, pur facendosi meno male. La nicotina non è un problema? La nicotina alza di 10 unità di mercurio la pressione, aumenta la produzione di acido cloridrico dello stomaco, ma non fa il danno vascolare. Ictus e infarto sono causati dalla trombosi prodotta dai derivati cancerogeni del catrame che alterano, attraverso una serie di meccanismi biochimici, l’endotelio della parete. Gli artefici del danno sono i derivati del catrame, il monossido di carbonio e gli irritanti: il prodotto della combustione. La nicotina però è quella che dà il piacere e cronicizza il consumo, perché induce dipendenza. Insomma, per assumere la nicotina il fumatore è costretto ad assumere anche sostanze che lo ammazzano. Ma la nicotina è anche il farmaco per smettere di fumare più utilizzato al mondo, solo che somministrata per cerotto o per inalatore non funziona come preso da elettronica. Per quale motivo? Nel nostro studio abbiamo osservato che il fumatore che passa all’elettronica prende esattamente la nicotina che gli serve. In pratica si fa una automedicazione di nicotina. Utilizzare, invece, una specifica modalità di rilascio farmacologico di nicotina, non risponde alle vere necessità del paziente. In realtà nella sperimentazione abbiamo rilevato anche una tendenza a diminuire la nicotina nel tempo, ma purtroppo non siamo riusciti a studiarla, perché ci sono venuti meno i finanziamenti. Perché nonostante tutto questo le istituzioni sanitarie italiane sono state e sono così prudenti verso l’ecig? Analizzando gli studi pubblicati, ci si accorge che la maggior parte sono lavori di tossicologia, farmacologia ed epidemiologia focalizzati sulla tossicità della sigaretta elettronica, e spesso si trattava di ricerche che, se fossero state esaminate da una commissione che conosceva l’argomento, sarebbero state cassate per il metodo scientifico. Poi c’è una minoranza di lavori che paragona il dato dell’elettronica con quello della sigaretta normale e sono concordi nel dire che è nettamente meno tossica. Questi studi in realtà portano acqua al tema della riduzione del rischio, ma nella ricerca scientifica manca un approccio clinico all’elettronica. L’unico che ha subito capito le potenzialità della sigaretta elettronica è stato Umberto Veronesi, che sapeva che la cessazione non è un obiettivo ricevibile per i fumatori. E se un paziente rifiuta, per esempio, un intervento o un tipo di terapia, un medico deve cercare vie alternative. Questo vale anche per i fumatori? Anche con il fumatore un medico deve affrontare il tema della ricevibilità della proposta. Oggi abbiamo uno strumento che permette una detossicazione del 95 per cento, quindi se spostiamo il consumo verso l’elettronica possiamo attenderci un miglioramento. Invece il principio di precauzione medica, che è sacrosanto e ispira gli organi governativi a tutela del consumatore, è talmente tirato da produrre uno stallo per cui la gente continua a morire. E alla fine questo principio va in danno della parte debole e un medico non può non stare dalla parte del debole, del malato. Io che non sono un medico a tavolino, ma sono un medico che visita, che opera e che cura, mi metto dalla parte del fumatore e cerco di essere ricevibile. Sembra quasi che la classe dei medici e dei ricercatori fatichi ad accettare uno strumento che viene dal mercato e che di fatto toglie il fumatore dal suo controllo. È una posizione dissociata da quello che accade. In Italia solo lo 0,1 per cento degli 11 milioni di fumatori si rivolge ai centri antifumo. Di questa minima percentuale, secondo miei dati controllati da un audit esterno, il 43per cento registra la cessazione a tre anni. Con questi risultati non si incide sulle cifre della mortalità. Un altro problema è che la maggior parte dei 376 centri antifumo sono in mano ai Sert (i servizi di tossicodipendenza delle Asl ndr). Non vi operano clinici, ma psicologi e psichiatri consapevoli del danno della sigaretta, ma che si occupano solo della dipendenza. Ma il fumo non è solo dipendenza, il danno non lo fa la sostanza che crea dipendenza, ma il catrame e gli 83 cancerogeni di classe A. Però per loro il demonio è la sostanza che dà dipendenza, cioè la nicotina. Per questo in molte pubblicazioni contro il fumo si sostiene che la sigaretta elettronica arruola al fumo o mantiene la dipendenza. Ma l’elettronica è davvero la porta d’ingresso del fumo? Qui bisogna essere molto concreti. Secondo gli ultimi dati dell’Istituto superiore di sanità l’80 per cento degli 11 milioni di fumatori ha cominciato a fumare prima dei 18 anni. Quindi ora, oggi quasi 9 milioni di minorenni sono arruolati al fumo. Di fronte a questi numeri il problema se la sigaretta elettronica sia o no porta d’ingresso al fumo di tabacco mi sembra di poco conto. Bisogna stare con i piedi per terra, altrimenti per il principio della massima precauzione non si fa niente e i fumatori continuano a morire. È un ragionamento che non può fare un medico. Un medico non può arrivare alla paralisi in ossequio del principio della massima precauzione. Eppure il Ministero della salute ha recentemente ribadito che la riduzione del rischio non è una sua strategia. La strategia del Ministero è la cessazione ed è corretto che esso e l’Iss si esprimano in questo modo, perché partono dal presupposto di garantire al cittadino chiarezza totale su quello che è l’obiettivo vero teorico, cioè fumo zero nel 2050. Ma fra la situazione reale e quell’obiettivo teorico ci sono una serie di tappe intermedie, che possono portare o meno al raggiungimento dell’obiettivo. Da anni siamo in una situazione di stallo ed è il momento di riconoscere che questa strategia dell’offerta di cessazione non funziona. Poi ricordo che 35 società scientifiche italiane - ed anche io - hanno sottoscritto il Manifesto dell’Endgame in cui è prevista la risk reduction. Però non se ne parla e vi è una grossa incultura sul tema della riduzione del danno. Di fatto le istituzioni mantengono una posizione ascetica che crea una frattura fra medici e fumatori, perché propone ai medici di dare degli obiettivi che i fumatori non sentono loro e non percorrono. Così il fumatore scappa dal medico. E la politica come si pone su questo tema? Se siamo indietro noi tecnici, ovviamente è indietro anche la politica. Alla politica può interessare che c’è in ballo la salute di 11 milioni e mezzo di elettori, che se arrivano a capire che non li si sta aiutando ma li si tassa e basta potrebbero arrabbiarsi. Se si fa un’azione a tutela di queste persone, si spiega e si rende ricevibile da un punto di vista politico potrebbe essere vantaggioso. Se domani diventasse Ministro della salute cosa farebbe per la lotta al fumo? Innanzi tutto terrei fermo che il principio di salute fondamentale è la cessazione. Quindi metterei mano all’organizzazione dei centri antifumo, dando loro obiettivi misurabili sulla lotta al tabagismo. Adotterei una strategia di politica friendly, spingendoli ad essere proattivi. Poi includerei i farmaci nei Lea, cioè nelle prestazioni fornite dal servizio sanitario. Obbligherei i centri antifumo a misurare la disponibilità al cambiamento dei fumatori e, in caso di non ricevibilità dell’obiettivo di cessazione, a fare delle proposizioni che seguano strategie di risk reduction. Che possono essere riduzione del fumato reale oppure switch a sigarette elettroniche con delle procedure che siano scientificamente validate. Comunque non si prescinde dai centri antifumo? Userei quello zoccolo duro. Accanto alla strategia clinica, che rende credibili, sarei realistico e quindi metterei in essere una serie di incentivazioni economiche dei prodotti a rischio ridotto rispetto al fumo tradizionale. Modello Gran Bretagna tutta la vita.

Sigarette elettroniche, professor Beatrice: La politica sta sbagliando

Non rimane in silenzio il professore Fabio Beatrice, otorinolaringoiatra e direttore del Centro antifumo dell'Ospedale San Giovanni Bosco di Torino, di fronte alla mannaia statalista che si è abbattuta sul settore del vaping. "Le ultime notizie comparse in tema legislativo sul controllo del fumo elettronico - ha dichiarato telefonicamente a Sigmagazine - suscitano stupore e perplessità, poiché non intervengono sul mondo reale dei tabagisti. Infatti smettere di fumare è una cosa molto difficile e nei centri antifumo perviene lo 0,1% dei fumatori. Queste misure allontanano i fumatori che hanno difficoltà a smettere da una soluzione per loro più ricevibile, che è rappresentata dalla riduzione del rischio. Peraltro questa posizione si sviluppa in maniera opposta rispetto a quella di altri Paesi quali la Gran Bretagna, nella quale con una visione molto pragmatica vengono invece proposte ai fumatori da subito politiche di riduzione del rischio che consentono di intervenire con immediatezza su ampie fasce di fumatori. Resta infine da riflettere - conclude Beatrice - sul fatto che uno stile di vita o un trattamento medico o chirurgico non può essere imposto". Insomma Fabio Beatrice, un medico che quotidianamente si confronta con i danni devastanti prodotti dal fumo, è sconcertato da uno Stato che, con la scusa della salute, si arroga il controllo dell'iniziativa privata e penalizza uno strumento che è invece una chance di cambiamento per chi è caduto nella trappola del tabacco.

Emendamento Vicari, De Luca (PLI): “La libertà di mercato è a rischio”

E' stato tra le colonne della cosiddetta Prima Repubblica. Parlamentare italiano per tre legislature, europeo per una, sottosegretario alle Finanze con i governi Goria, De Mita, Andreotti, Amato e Ciampi.  Stefano De Luca, liberale negli anni di governo, liberale negli anni più bui, oggi è il presidente nazionale del Partito Liberale. Italiano. Apprendendo quando accaduto ieri in Senato, è intervenuto prontamente nel dibattito, condannando la scelta monopolistica del governo. "La corsa ad inseguimento della legge di stabilità, da un lato è infarcita di norme clientelari, dall'altro cerca di recuperare entrate a favore dell'erario riducendo sempre più la libertà dei cittadini e inserendo sempre ulteriori divieti. L'emendamento, che cerca di contenere la vendita di apparecchi elettronici e liquidi di ricarica con nicotina per coloro i quali faticosamente cercano di liberarsi dalla dipendenza dal fumo, ha l'intento di limitare la libertà del mercato di tali dispositivi per favorire un Monopolio statate che per i Liberali è già anacronistico anche per il fumo".